L’Italia, pur essendo fondata su una delle migliori forme costituzionali al mondo, soffre molto di democrazia mancata e da qualche
ventennio è sempre più mal governata da un complesso di forze politico-economiche, che, pur essendo formalmente elette dal popolo,
lo rappresentano solo marginalmente.
E da un ventennio è in continuo aumento il divario tra ricchi e poveri e tra chi vanta di star bene e chi sta male.
In
un marasma generale fatto di pressappochismo, incompetenza, interessi personali e disordine, si vanno invocando nuove regole, forse
con il mal celato intento di confermare i privilegi ai forti tralasciando sempre di più i diritti ai deboli.
Sono profondamente convinto
che per ridurre questi divari si debbano bloccare le privatizzazioni.
A giustifica di quest'ultime si adducono gli sprechi della pubblica
amministrazione.
Niente di più errato, perché gli sprechi, per quanto siano sempre da condannare ed evitare, ritornano nel tempo, insieme
alla spesa, nel flusso circolare famiglie-imprese, a vantaggio complessivo della produzione.
Viceversa, in un regime di gestione privatistica
dei servizi pubblici primari, come accade per le FERROVIE, l'ENEL, le POSTE, le AUTOSTRADE, la TELECOM, che agiscono per lo più in
assenza quasi assoluta di concorrenza, non tutti i profitti delle aziende si trasformano in acquisti di beni e servizi; cosicché diminuisce
la produzione e aumenta la disoccupazione o, perlomeno, essendo il lenzuolo sempre lo stesso, si può avere anche l'impressione che
si riduca la disoccupazione, ma in realtà nel frattempo diminuisce anche il potere di acquisto dei salari, soprattutto i più bassi.
Questo perché "questi ricchi potenti", capitalizzando spesso tesori inimmaginabili, esportano danaro e lo prestano allo stesso Stato, per esempio sotto forma di BOT o CCT, contribuendo ad aumentare il deficit pubblico, che comunque, per quanto dir si voglia, rimane un problema marginale rispetto a tutti gli altri.
Così con l'avvio dell'operazione Mani Pulite e quindi con la scusa di dover provvedere a moralizzare lo Stato, ormai con una opinione pubblica cotta a puntino, nel lontano 1992 si diede l'avvio alla vendita stracciata di molti beni dello Stato, tutti realizzati con i soldi dei contribuenti.
C'è addirittura chi parla di un incontro al vertice che avvenne il 2 giugno 1992 sul panfilo Britannia al largo di Civitavecchia, tenuto da questi potenti per svendere l'Italia.
E poi, se la gestione di un servizio pubblico primario rende tanto ai privati,
perché non dovrebbe rendere altrettanto anche allo Stato, che potrebbe così ridurre la pressione fiscale?
Troppo spesso poi, addirittura,
questo Stato sostiene finanziariamente i privati concorrenti, senza nemmeno pretendere in cambio che siano assicurati i servizi essenziali
ai ceti più sfortunati, giustificando, per esempio, il taglio dei "rami secchi" nelle ferrovie e la chiusura dei poliambulatori perché
"non più funzionali".
Paradossalmente si vuol far continuare a credere che per risanare il bilancio dello Stato si devono continuare
a (s)vendere le aziende pubbliche ai privati, come è accaduto ultimamente con con l'ALITALIA!
Cosicché, ristretti i mercati interni,
aumentati i prezzi, accresciuta la domanda di lavoro, diminuito il costo della mano d'opera, con la magra consolazione che la moneta
europea gode di buona salute, non stanno nemmeno più sicuri quei ceti medi che oggi, vivendo chiusi nel proprio guscio, s’illudono
di fare una vita spensierata.