dal sito zibaldone.name, soter ha risposto il 27.IV.2008
LA SCOMMESSA
Il caro amico Sergio Pacillo, sul sito cittanuove.org,
pone questa volta una domanda di rovescio: e se Dio non esistesse?
Si potrebbe rispondere semplicemente (si fa per dire) con l’analogia
dell’orologiaio (Voltaire nel suo Trattato di metafisica): Se troviamo in terra un orologio e lo analizziamo, ci accorgiamo subito
che è stato concepito da un essere intelligente con un’intenzione precisa. Ora, se questo è valido per una cosa così semplice come
un orologio, perché non dovrebbe essere valido per una cosa immensamente più intelligente e complessa come l’universo?
Forse sarebbe
conveniente porre la domanda di diritto e di rovescio: e se Dio (non) esistesse?
Quando affermiamo "sono cattolico" stiamo, in effetti,
affermando "Dio esiste". D’altro canto, se affermiamo "sono ateo" stiamo affermando "Dio non esiste".
Ciascuno di noi, a seconda che
creda o no, é capace a portare argomentazioni pro o contro Dio; ma si tratta sempre solo di argomentazioni e non di prove conclusive:
il credente dirà che il mondo presenta un ordine che deriva da Dio, l' ateo dirà che se c’é il male come può esserci Dio, e così via,
ma nessuna delle due affermazioni può essere dimostrata.
Al riguardo Blaise Pascal scrive: “Incomprensibile che Dio esista e incomprensibile
che non esista; che l'anima sia con il corpo e che noi non abbiamo anima; che il mondo sia creato e che non sia tale; che il peccato
originale sia e che non sia. Se c'è un Dio, è infinitamente incomprensibile, perché, non avendo né parti né limiti, non ha nessun
rapporto con noi. [...] "Dio esiste o no?" Ma da qual parte inclineremo? La ragione qui non può determinare nulla: c'è di mezzo un
caos infinito. All'estremità di quella distanza infinita si gioca un gioco in cui uscirà testa o croce. Su quale dei due puntare?
Secondo ragione, non potete puntare né sull'una né sull'altra; e nemmeno escludere nessuna delle due. Non accusate, dunque, di errore
chi abbia scelto, perché non ne sapete un bel nulla”. (Pensieri, Mondadori, Milano, 1976, p. 160-161 – frammento 161-164).
Preso atto
che la ragione in questo caos infinito non può determinare nulla Pascal, però, fa una scommessa dove si gioca tutto, il finito con
l’infinito: punta tutto su Dio, perché se esiste si è ottenuta la salvezza, se non esiste si è in ogni caso vissuta un'esperienza
buona rispetto alla consapevolezza di finire nel nulla dopo la morte. Fare questa scommessa è gia un atto di fede e “La fede è l’uccello
che percepisce la luce e canta quando l’alba è ancora buia” recitano alcuni versi di Rabindranath Tagore.
Nel credere in Dio creatore
vi sono tante difficoltà, ma credere nell’Uomo “creatore” di dio vi è solo la follia della casualità: l’uomo (un accidente) escogita
Dio quale risposta al “perché” della propria “esistenza”. E’ questo perché, forse la questione più decisiva della vita medesima, che
dovrebbe indurre chi non crede, anche senza un atto di fede, a fare la scommessa di Pascal: che cosa avrebbe da perdere?
P.S. In che cosa crede chi non crede?
soter